Delfino Borroni

Cenni Biografici

(di Angelo Fornara - ​editing Roberto Bottiani)

Delfino Edmondo Borroni è da ricordare sicuramente come uno dei personaggi emeriti di Castano Primo. Paradossalmente, ma come spesso succede, risulta più famoso nel resto del mondo che non nel proprio territorio.
In paese, per i più, è sempre stato noto prevalentemente per la sua longevità, tanto da essere considerato per anni come “il nonno di tutti i castanesi”.
La sua esistenza, che ha attraversato ben tre secoli ed è sempre stata caratterizzata da alti valori sociali e umani, ha tutti motivi per essere maggiormente conosciuta. Delfino nasce il 23 agosto 1898 a Turago Bordone, in provincia di Pavia (attualmente compreso nel comune di Giussago). Quarto di otto fra fratelli e sorelle, sin da piccolo è avviato al lavoro in un caseificio a poca distanza da casa.
Durante la Prima Guerra Mondiale si trova a svolgere il servizio militare.
Dopo aver superato la visita di leva, il 7 gennaio 1917, è arruolato nel corpo dei bersaglieri nel Regio Esercito come soldato semplice assegnato al 6° Reggimento Bersaglieri.

Nel maggio dello stesso anno, durante il periodo di addestramento, viene promosso caporale “per essere riuscito ad assemblare i pezzi di una bicicletta Bianchi meglio degli altri”.
Come primo impiego al fronte viene inviato sull’ Altopiano di Asiago per dare il cambio in trincea ai commilitoni più anziani.
Entra così a far parte di coloro che passeranno involontariamente alla storia e verranno in eterno ricordati come “I ragazzi del ’99”, essendo questa (1899) l’ultima delle “classi” chiamata alle armi durante la più sanguinosa fra le guerre svoltesi in Europa, nonchè i più giovani soldati che abbia avuto l’Esercito Italiano.
​Nel settembre 1917 il giovane Borroni viene trasferito sul fronte occidentale, a Cividale del Friuli; qui vive in prima persona la terribile esperienza della storica “disfatta di Caporetto”, una tragica ritirata durante la quale il nostro esercito si ritrova nel caos più totale, subendo pesantissime perdite.
Il 28 di ottobre del 1917, mentre guada il fiume Torre (a ovest di Cividale) viene fatto prigioniero dal nemico e deportato in Austria dove, dopo estenuanti marce sotto la pioggia, raggiunge un campo di prigionia e viene destinato al lavoro in campagna.
​Ricondotto nuovamente in Italia, prima a Pordenone e successivamente a Vittorio Veneto, è costretto a scavare trincee per l’esercito nemico per cercare di creare l’ultimo baluardo di difesa contro le truppe Italiane che si stanno riorganizzando al di là del Piave.
​Dopo un anno e due mesi di prigionia, approfittando di un colpo di sonno del militare che lo sorveglia,riesce a fuggire con un compagno e a rifugiarsi in una fattoria nei pressi di Spilimbergo; il mattino seguente, dopo aver ripreso il cammino, vengono intercettati da un drappello di cavalleria italiana che li scorta sino alle linee amiche.
Il Natale del 1918 Delfino riesce finalmente a trascorrerlo a casa in licenza, ben sapendo che, nonostante la guerra sia terminata, deve comunque rientrare a breve per terminare il servizio militare.
Si congeda nel maggio 1920, a Gemona del Friuli.

Al suo ritorno a Turago Bordone sposa la concittadina Pierina Conti e con lei, su suggerimento di uno zio ferroviere, si trasferisce a Castano Primo per cercare un impiego presso la nascente linea tramviaria locale. Il 18 ottobre 1921 viene infatti assunto, con la qualifica di “fuochista”, dalla “Società Tramvia Milano – Magenta – Castano”, che gestisce il collegamento tra il capoluogo lombardo e Castano.
Stiamo parlando di un periodo storico durante il quale si incomincia a viaggiare con le locomotive a vapore e che da’ inizio alle avventure parallele del nostro Delfino e del “Gamba de Legn”. E’ questo infatti il curioso nomignolo che identificherà il convoglio che rimarrà in esercizio per parecchio tempo caratterizzando il paesaggio e le abitudini degli abitanti della zona, sino alla dismissione della tratta verso Castano Primo e al suo ultimo viaggio il 30 agosto 1957.
Ultimo viaggio salutato da una grande folla festante distribuita lungo tutto il suo percorso.
Delfino quel giorno però non è là, preferisce non assistere a quell’addio, al tramonto di un’epoca che ha caratterizzato la sua storia personale.
Il Borroni prosegue comunque il proprio lavoro nella vicina Cuggiono (dove la linea tramviaria rimarrà ancora attiva per qualche anno) con la società che è subentrata a quella del “ Gamba de Legn” , l’ ATM, acquisendo la qualifica di “Macchinista di tramvie e competenze accessorie”, sino al momento del suo pensionamento avvenuto il 1 settembre 1958.
​Uomo schivo e riservato, parlava sempre con nostalgia ma molto volentieri del suo periodo di lavoro che iniziava ogni mattina con la prima corsa, quella delle 6:10, e terminava con l’ ultima alle 21:20.
Fino agli ultimi anni, trascorsi presso la Casa di Riposo San Giuseppe di Castano Primo, numerose sono state le persone che hanno avuto il piacere di ascoltare i piacevoli e lucidissimi racconti.
In occasione del suo ultimo compleanno, il personale della struttura, ha creato una simpatica maglietta del tutto personalizzata, che in qualche modo ha contribuito ad aumentarne la fama.
Da due racconti fatti in una delle ultime interviste rilasciate poco prima della sua morte (avvenuta il 26 ottobre 2008, all’ età di 110 anni) traspare tutta l’intelligenza, il senso del rispetto e la grandezza di quest’uomo semplice.
“In quegli anni”, ricordava Delfino, “sulle strade si vedevano solo carri trainati da buoi o muli, oppure gente che andava a Milano a piedi, qualcuno in bicicletta o a cavallo, le auto erano rarissime. Avanzando il tram emetteva grandi nuvole di fumo nero; se incrociavo dei carrettieri che andavano a vendere il foraggio a San Siro, coprivo il comignolo per evitare di annerirne il carico. Loro mi ringraziavano dicendomi: lei sì che è un uomo!”
Nel 1944, nelle campagne di Cuggiono il tram fu mitragliato dall’aviazione tedesca. Sette passeggeri morirono; molti invece rimasero feriti, tra i quali lo stesso Delfino.
Con dispiacere raccontava: “I miei colleghi in stazione avevano sentito l’ allarme, ma nessuno ci raggiunse per avvisarci. Mi sarei fermato dove c’ erano i filari dei gelsi, così la gente avrebbe avuto la possibilità di ripararsi.”

Delfino e Pierina hanno avuto cinque figli: Leandro; Erminia; Giuseppina; Angelo e Maria.

Fogli e documenti storici della guerra di Borroni
Immagini dei 110 anni di Borroni

Intervista della Rai a Delfino Borroni 25/08/2008

Addio all'ultimo eroe di Vittorio Veneto

30 Ottobre 2008 - 02:10
Tremila persone hanno reso omaggio al reduce di tante battaglie della Storia italiana

L'umile caporale mai si sarebbe aspettato di veder spalancate le porte del Duomo di Milano per un suo funerale di Stato con tremila persone, con tante autorità militari e civili, la bara avvolta nel tricolore e i corazzieri di scorta alla corona d'alloro inviata dal Presidente della Repubblica.
Ancora pochi giorni e, lucido com'era, Delfino avrebbe ricordato i 90 anni da quella vittoria che anche lui, pur in misura infinitesimale, contribuì a raggiungere combattendo sull'Altipiano di Asiago e a Caporetto. Poi la pelle salvata da uno scarpone che fermò un proiettile e infine la prigionia.
Lo avevano solennemente festeggiato per i suoi 110 anni lo scorso 7 settembre a Castano Primo, dove nella Casa di Riposo «San Giuseppe» ha trascorso gli ultimi anni della sua vita circondato dall'affetto di figli, nipoti e pronipoti.


Onoreficenze


Volantini diffusi dai cantastorie nelle piazze in occasione di feste e sagre
Stampanto in tiratura limitata di 110 copie per celebrare il centodecimo compleanno del Signor Delfino Borroni, ultimo reduce italiano della prima guerra mondiale.
Castano Primo 23 agosto 2008

uno dei racconti di guerra di Delfino Borroni scritto di proprio pugno
Traduzione del manoscritto

Il 7 giugno 1917 chiamato alla visita destinato al sesto Bersaglieri Bologna, a marzo chiamato alle armi, a metà maggio la lettera A parte per il fronte. Fine maggio primi di giugno la lettera B con i feriti finita la convalescenza. Partiamo per l’altopiano di Asiago, poi Pasubio. Due volte attaccati, due volte respinti. Poi Monte Maio tre volte (attaccati), due sul cucuzzolo e una a destra. Poi Cismon, poi Campas, Mulon e vari. Settembre Valsugana, cima 11 e cima 12. Il giorno 20 ottobre in tradotta a Cividale. Giorno 21 rifornimento munizioni e viveri secchi: quattro gallette e due scatolette con l’ordine di conservarli perché non sapevamo quando potevamo ottenerne ancora. Qualche ora di cammino, ci accampavamo intorno ai monti. Notte tra 21 e 22 ci nutriamo di castagne. Giorno 23 verso le ore due prendere gli zaini e via verso Caporetto. Verso le ore nove lasciamo il monte, si inizia la Pulenta(Monte Polenta di fronte a Clusone n.d.r.), una forte tormenta, vento e acqua gelata. Ci troviamo di fronte una montagna senza piante e senza acqua. Si arriva in cima verso mezzanotte e si sente l’odore del nemico. Un grido ad alta voce: “Innestate le baionette”, con ripetute grida “Sotto ragazzi” e “Forza ragazzi”. Ci scagliamo contro al buio. Il nemico ripiega, il coraggio aumenta. All’alba, in basso, ci portano a far ci portano a far resistenza nella valle che arriva alle porte di Caporetto. Si fa chiaro, lungo la valle si vede un formicaio: truppe di rincalzo. Ma La Marmora non si intimidisce.Il mio capitano, molto preparatonel fare la guerra, fa schierare la sezione mitraglierisopra di noi, dominando la valle e sotto dove c’era la resistenza. E di nuovo sotto il tiro delle mitraglie altro slancio.I germanici si arrendono, la valle si vuota, facciamo circa 800 prigionieri e sotto resistenza (avanziamo)10 metri per volta. Ma alla fine della valle (c’era) una piccola altura, nel mezzo c’era una trincea, si sono rintanati lì tutt6i a terra. Quasi scoperto rimanevo fino a mezzogiorno circa. Vicino avevo l’aiutante di battagliaFuligni di Foligno., il sergente Mosconi di Como. Il sergente mi ordina di andar fuoria vedere la situazione. Io risposi: “Muscon te manda a murì”. Lui rispose: “Morire per morire è guerra”. Sì Sì non ho mai disubbidito. L’aiutante con dispiacere ha girato la testa. Il mio riparo era un palmo di terra e due morti tedeschi. Li ho rotolati l’uno vicino all’altro, mi spostai senza varcarli. Guardavo dove c’era più erba e piccole roccette. Mi portavo avanti piegando la gamba e raddrizzandola dopo cinque o sei metri facendo girare gli occhi vidi le ombre che arrivavano quasi dove ero io.

Accompagnando l’ombra con gli occhi vidi la testa alzarsi e abbassarsi, vidi il tre piedi della mitraglia, il fusto coperto dai rami e dalle foglie appassite, che saliva dove c’era una bassura della trincea. Vedevo camminare leste le truppe ed io bocca a terra sottovoce ho detto ciò: “Sono qui tutti pronti”., ma non hanno capito. Ripetei una seconda volta, ma non più forte, pensando che i miei dovevano dare un assalto per essere ancora con loro o rimanere fino al buio. Dopo pochi secondi sento la voce del sergente giù lungo la valle gridando “Borroni, Borroni, si salvi chi può”. Nel momento in cui la testa più vicina si abbassò, tentai uno slancio di fuga. Ma alla mia sinistra una mitragliata quasi a bruciapelo. Due pallottole: mi colpisce una al calcio del fucile, l’altra al piede destro, portandomi via il tallone. Costretto a cadere, sbattendomi per terra, fingendomi morto, barcollando, rotolando, mi portai dove ero partito, vedendo a destra e sinistra truppe che mitragliavano e avanzavano, chiudevano il cerchio. L’inizio della ritirata. Sotto il fuoco incrociato iniziai la salita della montagna, arrampicandomi con mani e piedi. Quando le pallottole (fischiavano) sopra la testa ci infiltravamo nella terra, spruzzava la polvere, mi buttavo a terra erespirando affannato arrivai alla colma (cima). Una corsa veloce, arrivai alla discesa, presi il fucile nella mano sinistra, sotto il corpo il tascapane alla destra e giù a rotoloni senza (sapere) dove andavo a finire. Il sergente, l’aiutante e altri, vedendomi venire, si sono portati in linea per vedere chi era. Come mi hanno visto l’aiutante mi prese per la testa, dicendomi: “Borroni, ti chiamerò scoiattolo, ma sei davvero (tu)? Nessuno sarebbe tornato da dove ti abbiamo mandato. Mentre levavo la scarpa destra la presentai facendo vedere la sbavatura dal sotto piede, dicendogli: “Maresciallo questa è stata la mia salvezza, se non cadevo mi avrebbero fatto un’altra scarica, il miracolo sarebbe fallito”. Mi risponde: “Se cessa questa burrasca ti propongo per la medaglia al valore”. Purtroppo la burrasca non cessava e diventavamo sempre pochi. 28 ottobre ultime due resistenze. Ore cinque e ore otto, il mio capitano moriva falciato al bacino, il suo attendente stritolato a tutte e due le gambe.E ho portato via ioSichiniCecotela, il capitano Bosana, il sergente Moroni, Luisi, FuligniFuligno, Inbero Romano.

Estratto dal settimanale Famiglia Cristiana anno 2007